LISA LURATI

SINA OBERHÄNSLI

Le papillon qui méprise la chrysalide a oublié d’où il vient et surtout où il va

Il dialogo fra le artiste Lisa Lurati (Lugano, 1989) e Sina Oberhänsli (Ginevra, 1994) restituisce, attraverso scultura, pittura, disegno, incisione e fotografia, un’atmosfera che oscilla fra sogno, fiaba e mito.
Lisa Lurati, utilizzando tecniche fotografiche antiche come la cianotipia e il rayogramma, si orienta verso un approccio pittorialista alla fotografia. I soggetti riprodotti nei grandi lavori su tela e nelle due inedite incisioni, riconducono a ere geologiche lontane, popolate da piante giganti e animali, mentre nei fotogrammi, le composizioni botaniche rievocanti erbari, si aprono al disegno a mano libera realizzato con la luce. Sina Oberhänsli, attraverso l’uso di differenti media, elabora una poetica dai forti connotati esoterici. Nelle monotipie dell!artista, prevale infatti un'iconografia la cui impronta è connessa alle immagini della mitologia classica e, più specificatamente, della sua côté dionisiaca. Nell’approccio ritualistico che pervade la sua produzione, mantiene una posizione di grande rilevanza il dialogo con una natura primordiale, debitrice dell’espressionismo nelle pitture su tavola e nelle ceramiche dalle fattezze animali.

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Lisa Lurati (Lugano, 1989) si è formata come fotografa alla CEPV di Vevey (bachelor) e in belle arti presso l’Institut Kunst di Basilea (master).
Fra le mostre ricordiamo: Lisa Lurati, CACY, Yverdon, 2021 (upcoming-personale); Nebulosa, Forma Art Contemporain, Losanna, 2020 (personale); Life, Love and Justice, Kunsthaus Ba- selland, 2020; Scherzo. Molto allegro, quasi presto, Photoforum Pasquart, Biel, 2018 (perso- nale); Glissement progressifs du récit, La Filature, Biennale Mulhouse19, Mulhouse (FR), 2019.
Le sue opere si trovano in diverse collezioni fra cui: Credit Suisse Collection; Città di Winter- thur; BNP Paribas; SwissRe; Christoph Merian Stiftung, Basilea.


Sina Oberhänsli (Ginevra, 1994) si è laureata in belle arti presso l’Hochschule für Design und Kunst di Lucerna (bachelor) e all’Hochschule für Design und Kunst di Basilea (master). Fra le mostre citiamo: L!aube des femmes, MottattoM, Ginevra, 2018 (personale); Georgine Ingold, Irene Bisang, Sina Oberhaensli, Tony Wuethrich Galerie, Basilea, 2020; POST, GE- NERATORprojects, Dundee (UK), 2019; Traumpfade. Traces of Fire, FABRIKculture REGIONALE 20, Hégenheim (FR), 2019; Tell the earth I love you, I can!t live without you, ARTACHMENT, Basel, 2019

TONATIUH AMBROSETTI
MARCO SCORTI

L’oscurità è il silenzio della luce



Il dialogo fra le opere di Tonatiuh Ambrosetti (Lugano, 1980) e Marco Scorti (Lugano, 1987), gravita attorno al concetto di Sublime che risale alle esperienze estetiche del Romanticismo.
La serie inedita Der Wilde Wald (2021) di Ambrosetti, realizzata durante escursioni notturne e sviluppata con una particolare tecnica fotografica - positivi di carta senza negativi -, costituisce una riflessione sulla forza della natura e del suo potere davanti al quale l’uomo è vulnerabile. Ad accentuare questo smarrimento, il buio della foresta, che domina l’immagine creando un timore verso l’ignoto che racchiude. In contrapposizione, i nuovi lavori pittorici di Marco Scorti, partono dal buio per allontanarsene. Gli scorci boschivi sono colti alle primissime luci dell’alba, attimi in cui il confine tra la luce e le tenebre è labile e la carica mistica della notte è ancora palpabile. È questo il momento prediletto dall’artista, in quanto “rappresenta l'ora del giorno in cui il cambiamento della natura si rivela”.

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Tonatiuh Ambrosetti (Lugano, 1980), si è laureato in fotografia all'École Cantonale d!art de la ville de Lausanne (ECAL), dove è professore titolare. 

Fra le mostre citiamo: Hortus Conclusus, Museo Villa dei Cedri, Bellinzona, 2020; Selective, Château de Vullierens, Vullierens, 2019; Primigenio, GallerCorps Célestes, Château de Gruyères, Gruyères, 2018; Les fous se déplacent en diagonale, La Fabrik, Espace d!art con- temporain, Monthey, 2017; Fardâ, Fondazione d'Arte Erich Lindenberg, Porza, 2016 (personale)

Marco Scorti (Lugano, 1987) si è laureato presso l'Haute École d’Art et Design (HEAD) di Ginevra.

Fra le mostra ricordiamo: Garavee, Monte Verità Ascona, 2020 (personale); Manor Prize 2016, Museo d'arte della Svizzera Italiana, Lugano, 2016 (personale - vincitore del premio); Swiss Art Awards, Kiefer Hablitzel Prize 2014, Messehalle, Basilea, 2014 (collettiva - vincitore del premio). Le sue opere si trovano in numerose collezioni pubbliche tra cui: Museo d'arte della Svizzera italiana, Lugano; Credit Suisse Collection; BNP Paribas Switzerland Founda- tion; Bereich Kultur, Winterthur; BancaStato, Ticino.

GIOVANNI CHIAMENTI

Rhizomatic Weave



Siamo felici di presentare la prima mostra personale in Svizzera dell’artista Giovanni Chiamenti (Verona, 1992), Rhizomatic Weave, accompagnata da un testo critico di Giovanni Paolin.
La ricerca di Chiamenti è caratterizzata dalla continua costruzione di microcosmi, all’interno dei quali l’artista riesce a forgiare nuove significazioni semantiche, creando legami tra categorie anche molto lontane tra loro. Il suo atteggiamento è duplice, contemporaneamente minuzioso e accogliente, aperto ad una creazione lontana da gerarchie precostituite.
In occasione della mostra Rhizomatic Weave ha deciso di abbracciare il concetto di rizoma, restituendo una propria lettura del pensiero dei filosofi francesi Gilles Deleuze e Félix Guattari. La sua scelta è motivata anche dall’appartenenza del concetto di rizoma al mondo della botanica, in cui definisce una modificazione del fusto delle piante erbacee. Il suo decorso orizzontale, ha ispirato i due filosofi alla formulazione di un pensiero in contrasto ad una concezione semantica verticale, gerarchica e ordinata, in grado di collegare tra loro fenomeni e concetti molto distanti, per cui, però, è sempre possibile trovare relazioni logiche o casuali sempre interagenti reciproca- mente. L’azione del rizoma è regolata da diversi principi concettuali che ne esaltano le caratteristiche di rete aperta in cui connessione, eterogeneità e molteplicità generano sempre nuove interpretazioni, che possono a loro volta, essere elaborate e pro- poste, ridiventando parte del rizoma.
Nell’approccio dell’artista diventa centrale il principio della Cartografia, per cui il rizoma si predispone alla formazione di una mappa, un percorso di possibilità per cui è possibile arrivare dove si vuole seguendo infinite scelte di percorso. Questo tipo di cartografia, si materializza in due modi definiti: uno diretto, che comporta la traccia di un’azione compiuta al fine di indagare le profondità dell’immagine fotografica (Marbleau), uno indiretto, attraverso la creazione di un nuovo glossario organico, in cui la reale catalogazione scientifica animale/vegetale è innestata da una nomenclatura o aggettivazione di fantasia. Le ceramiche presenti in mostra sono il frutto di un connubio tra fattori biotici e abiotici derivanti da un’evoluzione simpoietica (termine intro- dotto da Donna Haraway), ovvero un’evoluzione animata da processi trasversali e condivisi. Questo rapporto di equilibrio dinamico tra organico e inorganico riflette sul- la nostra condizione in quanto creature costituite attraverso sedimenti e stratificazioni sovrapposte nel tempo. Un humus in continuo mutamento nel quale i diversi stadi della materia combaciano.
La realizzazione delle opere con la tecnica del Raku americano permette di rispetta- re questo meccanismo evolutivo poiché la loro colorazione si stabilizza raggiungendo le tinte definitive solo dopo alcuni giorni dall’uscita del forno.
Il senso dell’intera mostra e l’ispirazione per il suo titolo sono racchiusi in Σύνδεσμος (Sindesmos, in greco antico congiunzione ma anche fusione, punto no- dale), la fusione in vetro di un rizoma di bambù. L’opera, infatti, grazie alla sua natura rizomatica di ibrido non meglio identificato, riesce ad offrire molteplici collegamenti alle altre opere esposte, per la propria genesi e la propria modalità di allestimento.
La pianta di bambù è ricca di silicio, elemento promotore di crescita e rigenerazione, la cui presenza è centrale anche nel materiale di cui è composta la scultura. Lo stelo della pianta ha un tenore eccezionale di materie minerali e la sua fibra è definita volgarmente come “acciaio vegetale” per le sue caratteristiche di elasticità, portanza e resistenza. Queste caratteristiche vengono rispecchiate dal suo piedistallo, realizzato in acciaio inox satinato, simulando la stessa struttura dei rizomi. Nell’incontro tra i due materiali, dalla fragilità opposta anche se composti da elementi simili, viene quindi ribaltato il sistema di supporto e riserva della pianta, non più sotterraneo, ma elemento in grado di legare dimensioni e mondi molti lontani l’uno dal- l’altro.
L’idea di una nomenclatura scientifica in grado di supportare la creazione di nuovo glossario organico e la rivisitazione di manufatti archeologici spingono la pratica di Giovanni Chiamenti verso un futuro prossimo popolato da creature frutto dell’evoluzione ibridata tra specie vegetali e animali.

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Giovanni Chiamenti (Verona, 1992) vive e lavora a Milano.
Consegue il diploma di laurea magistrale in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano nel 2017. Nel corso del 2016/17 intraprende il programma Erasmus+ presso l’Academie Royale des Beaux-Arts de Bruxelles. Espone in mostre collettive in Italia e all’estero presso Palazzina dei Bagni Misteriosi (IT), Atelier 34zero Muzeum (BE), Galleria Daniele Agostini (CH), Galeria Fran Reus (ES), Art Noble Gallery (IT). Nel 2018 è stato in residenza presso la School Of Visual Arts di New York e tra i finalisti del Premio Francesco Fabbri. Nel 2019 è stato artista in residenza presso VIR viafarini-in-residence a Milano ed uno tra gli arti- sti selezionati per il programma di residenza IN PRATICA, in partnership con VIAINDUSTRIAE (Foligno) e The Blank Contemporary Art (Bergamo). Nel 2020 è stato vincitore ex aequo del COMBAT Prize nella sezione Video. Nel 2021 è tra i finalisti dell’Exibart Prize.